Rischio low cost per l'agroalimentare. Emilia Romagna a rischio
Le
importazioni di prodotti low cost mettono a rischio molte eccellenze
agro-alimentari dell’Emilia Romagna, in particolare il Parmigiano
Reggiano, i prosciutti di Parma e Modena, ma anche l’aglio Dop di
Voghiera e il Riso Igp del Delta del Po. E’ quanto afferma
Coldiretti Emilia Romagna sulla base del primo dossier sui “Rischi
dei cibi low cost” presentato da Coldiretti a Bruxelles.
Dal
dossier si evidenzia – afferma Coldiretti Emilia Romagna – che
nel primo trimestre del 2013 c’è stato un balzo record nel numero
di notifiche nazionali al sistema di allerta comunitario per la
prevenzione dei rischi alimentari, rispetto allo stesso periodo di
cinque anni fa, prima dell’inizio della crisi. A differenza di
quanto è accaduto per tutti gli altri settori – sottolinea
Coldiretti – dall’abbigliamento alle automobili, in cui gli
italiani hanno rinunciato agli acquisti, per l’alimentare, che va
in tavola tutti i giorni, questo non è possibile, almeno non oltre
un certo limite, ma si è verificato un sensibile spostamento verso i
prodotti a basso costo per cercare comunque di risparmiare. Proprio i
prodotti low cost d’importazione – evidenzia il dossier
Coldiretti – hanno provocato l’80 per cento degli allarmi
alimentari.
I
rischi dei prodotti a basso costo riguardano anche le imitazioni dei
prodotti più tipici dell’Emilia Romagna, come il Parmigiano
Reggiano, che soffre la concorrenza sleale dei similgrana le cui
importazioni in Italia sono raddoppiate negli ultimi dieci anni.
Mentre nella sola Emilia Romagna le importazioni di prodotti
lattiero-caseari sono passate dai 295 milioni di euro del 2006
(periodo ante-crisi economica) ai 356 milioni di euro del 2012
I
similgrana - rileva la Coldiretti - sono arrivati in Italia
soprattutto dall’Europa a partire dalla Germania (8,3 milioni di
chili) e dalla Repubblica Ceca (8,1 milioni di chili) anche se in
forte crescita risulta essere l’Ungheria dalla quale sono giunti
ben 2,7 milioni di chili, pari al 10 per cento del totale delle
importazioni. Ma volumi addirittura superiori di questi formaggi, che
spesso hanno anche una assonanza fonetica con quelli nazionali, sono
purtroppo destinati a Paesi diversi dall’Italia, in Europa e fuori,
togliendo spazio di mercato al Parmigiano e al Grana. Si tratta di
formaggi di diversa origine e qualità che non devono rispettare i
rigidi disciplinari di produzione approvati dall’Unione Europea. Il
rischio è che vengano scambiati dai consumatori come prodotti Made
in Italy perché vengono spesso utilizzati nomi, immagini e forme che
richiamano all’italianità, ma anche perché appare il bollo “Ce”
con la “IT” di Italia se il formaggio viene semplicemente
confezionato in Italia. Un problema analogo – continua Coldiretti –
riguarda i prosciutti che in quattro casi su cinque, tra quelli
venduti in Italia, provengono da maiali allevati in Olanda,
Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che questo venga
chiaramente indicato in etichetta e con l'uso di indicazioni
fuorvianti come “nostrano” che ingannano il consumatore sulla
reale origine. Il problema riguarda sia il prosciutto crudo sia
quello cotto, per il quale si stima la provenienza straniera in una
percentuale superiore al 90 per cento. Le caratteristiche di questi
prodotti sono profondamente diversi da quelli a denominazione di
origine come il Parma e il Modena che sono ottenuti da allevamenti
italiani regolamentati sulla base di rigidi disciplinari di
produzione approvati dall’Unione Europea.
Tra
i prodotti dell’Emilia Romagna a rischio low cost – ricorda
Coldiretti Emilia Romagna – ci sono anche il pomodoro, di cui la
nostra regione è uno dei principale produttori nazionali, che deve
però vedersela con gli 85 milioni di chili “irregolari” a causa
dei residui chimici, importati nel 2012 in Italia; il riso Igp del
Delta del Po, che deve confrontarsi con importazioni come quelle
provenienti dagli Stati Uniti (+12% nel 2012) a rischio Ogm; l’aglio
Dop di Voghiera che subisce una concorrenza fortissima dell’aglio
di importazione, in particolare quello argentino per il 25% dei casi
risultato irregolare per la presenza di residui chimici.
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