Tre generazioni e una vocazione: il Lambrusco di Sorbara

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Francesca Domenichini

Denis Barbanti è il giovane imprenditore modenese che con la sua Cantina Divinja, insieme ad altre realtà della zona, si è fatto portavoce di un nuovo modo di valorizzare questo vino rosso rubino, spumeggiante e “pieno di corpo e vitalità”.




Cultura del territorio, tradizioni di cui fare tesoro, spirito imprenditoriale. Tre chiavi di lettura, di per sé già esaustive, che ci accompagneranno sempre nel corso di questo nostro viaggio alla ricerca di quelle realtà della filiera agroalimentare - e non solo - meno conosciute, ma non per questo meno attente alla qualità e alla sostenibilità. Aziende emiliano-romagnole di piccole e medie dimensioni, come dire il tessuto nevralgico del settore. E veniamo quindi al protagonista di questi “appunti di viaggio”. Si chiama Denis Barbanti ed è un giovane produttore vitivinicolo del modenese, della zona d’elezione del Lambrusco di Sorbara. Da tre generazioni i Barbanti si occupano di vigne e vini: il primo è stato il nonno Tarcisio, che ha passato poi il testimone al figlio Fabio finito ora nelle mani di Denis. Un circolo virtuoso che ha portato alla creazione e alla crescita conseguente della Cantina Divinja, che si trova appunto nel comune di Sorbara. E qui la “parola d’ordine” è Lambrusco. Un vino che, nonostante le sue origini antichissime, la sua diffusione geografica (si coltiva da Modena a Parma) e le sue riconosciute virtù organolettiche, non è ancora oggi adeguatamente apprezzato. Al punto da essere equiparato più o meno ad una bibita. “Scambiando opinioni con alcuni miei colleghi - ci spiega Denis Barbanti - una soluzione valida per cominciare a invertire radicalmente questo trend potrebbe essere quella di eliminare la parola Lambrusco. Cominciando ad introdurre nel ‘linguaggio comune’ i nomi dei tre vitigni tipici del nostro territorio: Sorbara, Salamino e Grasparossa. Sarebbe una soluzione ideale per rivalutarlo. Il vero vino della tradizione modenese è il Sorbara. La prima barbatella è stata piantata e raccolta vicino alla chiesa di Sorbara. Il Lambrusco è nato lì. Le due zone migliori del Lambrusco sono la via Verdeta, dove ci troviamo noi e la zona del Cristo, perché tipiche dei terreni alluvionali, bagnate dal Panaro e dal Secchia. Terreni argillosi, limosi. Per quanto riguarda il riconoscimento dei vini che produciamo, ho fatto una scelta precisa per valorizzarli al meglio: sono quindi tutti DOC o DOP”. Tra i servizi messi a disposizione della clientela della Cantina Divinja, la possibilità di acquistare il vino sfuso: “sta tornando in auge anche imbottigliato o a fermentazione naturale. Lo diamo ai privati, prepariamo le cisterne di Sorbara, Salamino e Pignoletto. E poi circa qualche centinaio di bottiglie le teniamo noi, come ci ha insegnato il nonno. Naturalmente il vino non è pulito come in autoclave:  fa il suo sedimento, in gergo il ‘fisso’. È un bere naturale che non accontenta però tutti i palati. Un’altra tecnica che sta riemergendo è il metodo classico: il nostro, ad esempio, sarà pronto a Natale di quest’anno, dopo 26 mesi sui lieviti. Questo è uno dei possibili modi per fidelizzare la clientela, o per farci conoscere ex novo, così come partecipare ad una delle rassegne enogastronomiche più famose della nostra zona, promossa dal Comune di Bomporto: Rosso Rubino-Lambrusco Wine Festival. Ogni anno ha un programma molto ricco che si svolge a tappe in ciascuna delle cantine interessate, inclusa la nostra. Presentiamo inoltre in azienda i nostri vini e a volte anche nella nostra pasticceria-caffetteria in centro a Sorbara. E poi ancora, ottime opportunità sono rappresentate da altre manifestazioni locali, tra cui Perlage Emilia Romagna a Carpi e la Festa del Lambrusco di Sorbara, che nel 2017 cade nel terzo e quarto weekend di settembre”. Ma che cosa, chiediamo ancora a Denis, delle vecchie tradizioni di famiglia è stata mantenuta tale e quale e cosa invece si può definire innovativa? “Gli impianti sono moderni, per una vendemmia ovviamente meccanica, tranne in alcuni casi in cui effettuiamo ancora le operazioni a mano (impianti semibellucci, ndr). Lì dove nasce l’uva non si usano i diserbanti, ma l’aratro: quindi si effettua il diserbo meccanico. Ricorriamo alla lotta integrata, con le trappole ai feromoni. Impieghiamo l’anidride solforosa solamente durante la vendemmia, perché è un disinfettante necessario quando l’uva viene scaricata nella vasca. Lavoriamo prevalentemente tutto quanto a freddo e con il massimo ricorso alla naturalità. Manteniamo a bassa temperatura i mosti. Si imbottiglia ogni due mesi per ottenere un prodotto sempre fresco e costante. E si comincia a farlo verso metà novembre per finire in agosto. Perché il Lambrusco, specialmente il Sorbara, è buono fresco. Tecnologia in cantina e tradizione in campagna, questo è il nostro motto!”.
Tra i vini della Cantina dei Barbanti, la selezione di casa contempla anche il Merlot, barricato 12 mesi in legno, un rosso fermo, per chi non ama le bollicine. Una resa piccola - un paio di filari per un totale di 25-30 quintali - per dare un prodotto diverso a chi in zona non ama il vino frizzante. I must sono comunque i Sorbara: l’Unico e il Rosae (rosato). Non da meno i bianchi, sia spumantizzati che secchi e con le “bollicine” a base di Pignoletto. Dulcis in fundo, Malvasia Candia (Malvasia aromatica, tipica uva dei Colli piacentini) e Trebbiano che serve per fare l’aceto balsamico: “facciamo un taglio tra i tre vigneti e prevalentemente c’è sempre il Pignoletto. La nostra tipicità consiste proprio in questo, nel valorizzare le produzioni del territorio”. Passione, tradizione e territorio: sono i valori a cui Denis Barbanti si ispira quotidianamente per portare avanti la sua attività, le “radici” della sua storia familiare e quelle che ogni anno rinnova per restare al passo con i tempi e non rinunciare mai alla qualità. 

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