Agricoltura biodinamica, alternativa ma rigorosamente scientifica

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Nella foto: Carlo Triarico, presidente dei biodinamici


Spesso i biodinamici sono visti con diffidenza perché considerati quasi degli stregoni. Adottano invece un metodo, codificato da Rudolph Steiner e riconosciuto anche da molte Università. Per saperne di più abbiamo chiesto ulteriori spiegazioni a Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica



di Alessandro Maresca



«Nel terzo millennio ci tocca ancora difendersi dall’accusa di stregoneria - afferma Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica -. So che la Federazione italiana Scienze della vita e altri hanno diffuso dati falsi sulla biodinamica per fermarne l’insegnamento alle giovani generazioni e fatto ricorso a uno studio la cui autrice, Linda Chalker-Scott, è stata messa sotto inchiesta dalla propria università per incompetenza scientifica. La biodinamica, vorrei invece ricordare, si basa su fondamenti epistemologici rigorosi e i disciplinari definiscono pratiche concrete, affinate in oltre novanta anni e tutte previste dal regolamento europeo sull’agricoltura biologica. La insegnano in tanti paesi tra i più avanzati. Un aneddoto: anche in Egitto la biodinamica è insegnata all’università, quindi è sottoposta alla verifica coranica e li con le pratiche magiche non si scherza. È il turno anche in Italia di rompere col pregiudizio e avere finalmente corsi di laurea in agricoltura biologica e biodinamica».

In alcuni settori, come la viticoltura, si assiste a una maggiore penetrazione della biodinamica. Come mai secondo lei? Qualcuno, malignamente, dice che dipende dal fatto che si tratta di colture che necessitano di interventi meno incisivi…

«La biodinamica si diffonde perché dà maggiori risultati qualitativi sul suolo e sul prodotto finale e i mercati la considerano un’eccellenza. Gli inesperti ipotizzano che fare agricoltura biologica e biodinamica significhi impegnarsi di meno. Al contrario, rinunciare all’uso di sostanze e pratiche dell’agricoltura industriale richiede maggiore competenza agronomica e rigorosa organizzazione aziendale. Ancor più nel caso della biodinamica, più restrittiva in oltre 70 punti rispetto ai parametri di legge minimi del biologico».



Le istituzioni ufficiali



Si stanno facendo studi e sperimentazione per avvalorare l’efficacia del metodo, a prescindere dalla filosofia steineriana su cui il metodo di base?

«Rudolf Steiner era un chimico, aveva doppia laurea, dottorato di ricerca e incarichi accademici di prestigio. La ricerca in bioagricoltura l’hanno fondata i biodinamici negli anni ‘20 con le Sezioni di Scienze naturali e di Agricoltura del Goetheanum, il Forschungsinstitut a Basilea e il FiBL in Svizzera; dal 1950 in Germania il Forschungring für Biologisch-Dynamische Wirtschaftsweise, il Forschung et Züchtung Dottenfelderhof e l’Università di Kassel; in Svezia il Biodynamic Research Institute, della Rudolf Steiner University di Ierna; in Olanda il Louis Bolk Institut dal 1976; in Australia dal 1952 il Bio-dynamic Research Institute riconosciuto dallo Stato; il Biodynamisk Forskningsforening, riconosciuto dallo Stato in Danimarca, la Heliopolis University in Egitto; il Michael Fields Agricultural Institute e il Josephine Porter Institute negli USA. Dal 2005 esiste anche il Biodynamic Research Network, che federa i centri di ricerca nel mondo e raccoglie la letteratura esistente».

Le istituzioni ufficiali (Università, Crea, Cnr) prendono in considerazione il metodo biodinamico? Proprio da queste potrebbe partire il lancio del comparto…

«Il Piano strategico nazionale per l’Agricoltura biologica, varato dal Governo a marzo 2016, grazie alla collaborazione del mondo agricolo, mette la biodinamica nel capitolo delle priorità. In Italia siamo in credito di ricerca ma, nonostante la frangia accademica più oscurantista, qualcosa si è fatto nelle università di Firenze, Napoli, Pisa, Padova, Urbino, Marche, Catania. Si tratta di percorsi di formazione, dottorati e piani di ricerca. Il Crea ha compiuto uno studio che testimonia la qualità agronomica delle aziende biodinamiche e il Mipaaf ha recentemente istituito un comitato permanente per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica: sarà d’aiuto per le migliaia di aziende che applicano pratiche biodinamiche o che vorrebbero farlo».



Metodo serio ma non elitario



Temo però che siano proprio i biodinamici a frenare sulla diffusione del metodo. Mi corregga se sbaglio…

«Non condivido l’idea di qualcuno, che ci si salvi da soli, mentre un’agricoltura va in crisi. Abbiamo 900 soci, 400 aziende certificate, ma circa 5mila aziende italiane applicano già le metodiche biodinamiche e tante altre entrerebbero. Se qualcuno vuol fare della biodinamica un privilegio per pochi si sbaglia: sarebbe la peggiore sconfitta di chi vuol riformare il modello agricolo».

Il rischio maggiore è che in questo modo, sempre che non si pensi alla “pratica magica”, si consideri l’agricoltura biodinamica una pratica d’élite. I biodinamici probabilmente non vogliono questo ma, alla fine, è inevitabile...

«È giusto che ci sia attenzione a conservare la serietà della biodinamica e controllare rigorosamente l’accesso degli operatori nel sistema. La condizione drammatica dell’agricoltura spinge le aziende a cercare in noi un modo per sopravvivere, visti i nostri successi di mercato. Noi dobbiamo offrire a tutti la possibilità di farcela. Per questo offriamo un iter di accompagnamento aperto a chiunque ne fa richiesta. All’ultimo nostro convegno, il 34°, nel novembre scorso a Napoli, hanno partecipato oltre mille tra agricoltori, ricercatori e studenti. Penso il nostro intento sia chiaro».

L’aspetto commerciale potrebbe essere determinate per lo sviluppo del settore. Ma come può essere affrontato?

«I maggiori grossisti europei di prodotti bio sono venuti a Napoli a dirci che comprerebbero biodinamico per altri milioni. Ma occorre organizzazione, formazione, ricerca e costruire una rete d’imprese strutturata. Poi serve garantirsi il giusto prezzo, quello che consente all’agricoltore di fare meglio ogni anno. Infine torno a dire: dobbiamo avere anche in Italia corsi di laurea in agricoltura biologica e biodinamica, per disporre di una nuova generazione di operatori e consulenti».

Organizzarsi per affrontare il futuro è un tema dell’agricoltura del Paese…

«Dobbiamo salvare le aziende agricole italiane. Per questo è nata Agrifound, l’organizzazione per recuperare e valorizzare le aziende dall’abbandono, attraverso la biodinamica».



Ricerca e certificazione



Ci sono delle deroghe nel biodinamico, come avviene nel biologico, per sopperire ad annate difficili o a mancanza di approvvigionamento di materiale di propagazione? (Nella fattispecie sementi).

«Certo, senza però contravvenire ai regolamenti e nella massima trasparenza. Agli estremi si rinuncia al marchio per quell’anno, ma raramente è necessario. Per le sementi abbiamo un problema grave: quelle biologiche e biodinamiche sono rare, perché non c’è ricerca. Tanti sono costretti a usare sementi in deroga. Altri usano vecchie varietà non registrate e li trattano da fuori legge».

Una riforma di Demeter, l’ente certificatore del biodinamico, potrebbe aiutare al rilancio del settore?

«Demeter ha una storia importante: è stata la prima certificazione dell’agroalimentare ecologico e ha soci in tutto il mondo. Per questo ogni cambiamento è impegnativo. Oggi Demeter Italia sta compiendo passi decisivi: per fare meglio non deve solo svolgere controlli, ma dare servizi per la tutela della qualità biodinamica».

Come sono i rapporti fra l’Associazione Biodinamica e Demeter?

«Sono un dirigente di entrambi gli enti e condivido la passione per entrambi. L’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica si occupa di formazione, consulenza, divulgazione e ricerca. Demeter si occupa di controlli e difesa della qualità, contribuendo anche al successo commerciale delle aziende. Nell’idea dei fondatori sono due gambe per lo stesso cammino. Dobbiamo farcela a organizzare puntualmente questa sinergia operativa, sarà un esempio per tutto il mondo agricolo. Quindi non è facile, ma è ineludibile».

Potrebbe il metodo biodinamico diventare il metodo universale di coltivazione? Già con il solo biologico, dicono gli esperti, non si riuscirebbero a produrre alimenti per tutta la popolazione mondiale, ancor meno con il biodinamico, credo

«Il modello agricolo del futuro sarà composto dalla convivenza di diversi metodi resilienti. La bioagricoltura è una chiave. Sprechiamo quasi la metà dei prodotti agricoli. Gli studi Fao chiariscono che la bioagricoltura sfamerebbe il mondo già oggi, se si adottassero pratiche alimentari responsabili. Per migliorare però occorre la ricerca che in altri settori è stata finanziata. Se senza questa si è fatto già tanto, immaginiamo che risultati con degli investimenti mirati. Per questo stiamo mettendo a punto un comitato scientifico per la ricerca in biodinamica e chiediamo agli scienziati di farsi avanti. L’Italia potrebbe diventare una piattaforma della ricerca agroecologica internazionale.



Serve una bussola



Ultima domanda. Ritiene che le nuove tecnologie possano essere applicate anche nell’agricoltura biodinamica senza stravolgerne il senso? Mi riferisco a trattori e macchine operative computerizzate, impiego del satellite e dei droni, robot per la raccolta… per ridurre i costi di produzione e alleviare il lavoro dell’uomo.

«La tecnologia è molto utile se vede gli agricoltori compartecipi. Le nuove tecnologie devono sorgere dai loro fabbisogni e dalla collaborazione con i ricercatori. L’agricoltura biologica è l’innovazione del futuro. Urgono macchine, semi e mezzi tecnici adatti all’agroecologia e c’è tanto da fare. Ma l’agricoltura di precisione è un feticcio se manca la capacità organizzativa dell’agricoltore, quella che auspicavano Olivetti, Rossi ed Einaudi già negli anni Cinquanta. Iniziamo da subito. La bussola serve a chi sa darsi una meta».


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