Si è aperta domenica 15 settembre la stagione venatoria per i circa 40.mila cacciatori della regione Emilia-Romagna. Permangono per ora le limitazioni per l’epidemia di aviaria
di Roberto Aguzzoni
Folaghe in palude
Domenica 15 settembre 2013 si è
aperta ufficialmente la stagione di caccia nelle forme più tradizionali: quella
alla fauna stanziale (lepri, fagiani, pernici rosse, starne) e quella alle
specie migratorie consentite dal calendario venatorio regionale. Il calendario venatorio
della regione fa riferimento alla legge nazionale n.157/92 e a specifiche direttive
UE in materia. Le singole province possono emanare norme locali, che debbono comunque
restare all’interno di quanto disposto dal calendario venatorio regionale.
Quest'anno
la caccia è partita anche con il limite imposto dalle norme sanitarie scattate
a seguito dell'epidemia di aviaria, in seguito alle quali non si possono
utilizzare i richiami vivi appartenenti all'ordine degli anseriformi (germano
reale e simili) e dei caradriformi (pavoncella). Come consueto la stagione
venatoria procede a intervalli fino a fine settembre. Fino a tale data l'attività
è infatti limitata a giornate fisse (il giovedì e la domenica) e solo al
mattino, dall'alba sino alle ore 13 in forma vagante con l’ausilio del cane, e
dopo le ore 13 solo da appostamento limitatamente ad alcune specie. Da ottobre
sarà invece possibile usufruire di tre giornate settimanali a scelta e si potrà
cacciare per l'intera giornata, dall'alba al tramonto anche in forma vagante.
Sono previsti limiti ben precisi sul numero di selvatici che è possibile
abbattere da parte di ciascun cacciatore, e a seconda delle specie.
Le regioni
(circa 700.000 i cacciatori in Italia) possono avere calendari venatori differenti,
ma sempre entro i limiti dettati dalla legge nazionale. A fine stagione, i
cacciatori debbono obbligatoriamente consegnare i tesserini di caccia
rilasciati dalla regione, la quale rileva ed elabora i dati degli abbattimenti
a scopo scientifico-statistico e per la programmazione della stagione successiva.
In alcune particolari zone (ad esempio le pinete ravennati) l’attività
venatoria è possibile solamente previa prestazione da parte dei cacciatori di
almeno una giornata di lavoro volontario per il mantenimento ambientale.
Da
registrare che il 12 settembre è stata presentata alla Camera dei Deputati
l’ultima indagine demoscopica su “Gli italiani e la caccia”, affidata dal
Comitato Nazionale Caccia e Natura (CNCN) e dalla Federazione Associazioni
Cacciatori Europei (FACE) alla società AstraRicerche. Enrico Finzi, sociologo, direttore
di AstraRicerche, ha così commentato i dati: “Cruciale è sempre la questione dell’informazione sulla caccia. Questa analisi ha infatti confermato le previsioni,
vedendo aumentare i consensi per l’attività venatoria proprio in corrispondenza
di un aumento di conoscenza su come essa è praticata in Italia. Al di là di una
parte della popolazione che odia la caccia e non l’accetterà mai, la partita si
gioca sugli indecisi, tuttora in larga parte inconsapevoli dei rigidi limiti e
delle numerose regolamentazioni imposti alla caccia. Quando il mondo venatorio riesce a spiegare il senso e il perché della caccia
allora gli italiani, in buona parte, sono pronti ad appoggiarla”.
Attività di ripristino ambientale effettuata da
cacciatori volontari
Sul
risultato dell’indagine ha fatto pervenire un messaggio Paolo De Castro,
Presidente della Commissione europea Agricoltura e Sviluppo rurale: “La presentazione della ricerca di
AstraRicerche rappresenta un’occasione importante per analizzare le dinamiche
che caratterizzano il rapporto esistente tra gli italiani e la caccia. Un
rapporto che, come si evince dallo studio, è in continua evoluzione e dalla cui
analisi è opportuno partire per avviare finalmente una nuova visione di
sviluppo per il settore della caccia e le sue implicazioni. In tale ambito,
innanzitutto la necessità non più rinviabile su scala nazionale di lavorare ad
una legge quadro sulla fauna selvatica. I tempi sono maturi per mettere ordine
alla disciplina che riguarda, tra l’altro, la gestione dei danni provocati
all’agricoltura, tenendo presente il ruolo dell’attività agricola sia in
termini reddituali sia in termini di presidio ambientale e di produttrice di
beni pubblici. Direttamente connesso alla necessità appena citata, il tema
dell’efficacia e della sempre più ricorrente conflittualità del rapporto tra
Stato e Regioni. Un rapporto che se non gestito in maniera efficace e
funzionale rischia di non dare garanzie certe né agli agricoltori, né ai
cacciatori e neanche all’ambiente e ai territori rurali. Infine, non meno
importante, il tema del confronto con l’Europa e con le politiche europee.
L’auspicio, è che le analisi scientifiche possano portare ad una revisione
degli allegati delle direttive europee e risolvere annose questioni che hanno
animato molto il dibattito nazionale e comunitario. Un impegno che non è più
rinviabile perché vi è la necessità di costruire un quadro chiaro e, al tempo
stesso, ispirato dalla logica che ha sempre contraddistinto la visione
italiana; ovvero un rapporto equilibrato tra agricoltura, caccia e ambiente”.
0 commenti