Cambiamento climatico e desertificazione, come combatterli?
Servono decisioni e provvedimenti importanti da parte del Governo e degli organi preposti. Ma anche il cittadino dovrà adeguare il suo modo di vivere
di Alessandro Maresca
La situazione permane preoccupante perché
finora è caduta mediamente la metà della pioggia che cade sull’Italia nello
stesso periodo. Le situazioni più evidenti si palesano nel Nord del Paese, dove
umidità, qualche pioggia e un po’ di neve offrono una percezione alterata della
realtà. Non dimentichiamoci che la portata del Po si conferma di fatto sotto
media ormai ininterrottamente da dicembre 2020 segnando nuovi record negativi
per buona parte del 2022.
Anche i grandi bacini settentrionali
continuano a evidenziare segnali di sofferenza. Queste indicazioni destano
forti preoccupazioni, se si considera che, nel 2021, l’autunno era stato
l’unico periodo, in cui gli acquiferi avevano avuto modo di ricaricarsi dopo
un’estate arida e prima della lunga stagione siccitosa, che non è terminata. Se
dovessero perdurare le attuali condizioni, il timore è che il 2023 sia un anno
ancora più difficile per le riserve idriche del Paese.
“Finora l’attuale stagione sta deludendo
le speranze di recupero per una situazione idrologica gravemente compromessa e
del cui cambiamento si fa fatica a prendere atto, assumendo decisioni
conseguenti – evidenzia Massimo Gargano, direttore generale di Anbi -
L’estate 2022 rappresenta una linea di confine per l’Italia davanti a una crisi
climatica, cui si deve rispondere anche con nuove infrastrutture
multifunzionali, capaci di trattenere le acque, aumentando la resilienza di
comunità e territori. Il Piano Laghetti, il Piano Invasi, il Piano di
Efficientamento della Rete Idrica sono strumenti, in gran parte cantierabili,
che mettiamo a servizio del Paese e del suo Governo”.
Dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo di fronte a una
situazione eccezionale e si concretizza sempre di più la necessità di
attrezzarsi per affrontare in modo adeguato le conseguenze del cambiamento
climatico.
Le competenze
“Tutto quello che si può fare sta
sotto il titolo “Politiche e azioni per l’adattamento climatico” – afferma
Alessandro Bratti, segretario generale dell'Autorità distrettuale
del Fiume Po -. Queste sono fatte di due parti. la prima prevede una dotazione
“infrastrutturale”: mi riferisco al piano invasi, al piano laghetti, alle opere
di manutenzione, ad interventi di ingegneria naturalistica. Tutto ciò avendo
ben presente che non esiste un’unica soluzione per tutti i territori. La
seconda parte prevede invece interventi sulla governance del sistema, oggi
troppo frammentata. È necessario essere chiari riguardo la responsabilità e le
competenze dei vari enti che intervengono sulla gestione dell’acqua. Qui
occorre intervenire normativamente e spero che il nuovo Parlamento affronti il
problema con serietà e competenza: sicuramente la combinazione di un serio
intervento infrastrutturale e normativo può rendere l’ambiente più resiliente e
resistente alle conseguenze del cambiamento climatico”.
Nonostante i problemi della
siccità, nella scorsa estate quasi tutti gli agricoltori che avevano
un’adeguata strutturazione irrigua sono stati riforniti di acqua.
“E’ vero – conferma Bratti - ci
sono state produzioni, come il pomodoro, che hanno avuto pochi problemi, altre
che invece che sono state pesantemente danneggiate. Sicuramente dove c’è
un’infrastrutturazione irrigua adeguata è stato più facile contrastare le
situazioni di emergenza. Di acqua, nonostante la siccità, per il momento ce n’è
ancora per poter sostenere l’attività agricola. Il problema è che
progressivamente la situazione di siccità rischia di peggiorare. Già adesso
abbiamo dei dati rispetto alle falde più superficiali del bacino assolutamente
preoccupanti. È necessario che tutti inizino a ragionare pensando che questa
situazione non è “una tantum”. Quindi occorre agire su diversi livelli:
governance, infrastrutture, tipologia di colture, innovazione tecnologiche. Il
tutto in una situazione in cui il costo dell’energia elettrica diventa un nuovo
elemento di criticità che non può non essere considerato”.
Ricordiamo che nel corso di
questa estate, il governo italiano ha dichiarato lo stato di emergenza in cinque regioni a causa della crescente siccità. Basta aver visto le
immagini del Po per capire quanto sia stata drammatica
la situazione.
Desertificazione
In questo contesto da
diverso tempo è stato lanciato l’allarme desertificazione; inizialmente in
particolare nel Sud Italia. Regioni quali Sicilia, Puglia e Sardegna sono da
tempo riconosciute come altamente vulnerabili alla desertificazione e ora
stanno incominciando ad affrontare le prime fasi di questo processo. Ma la
minaccia si estende a tutto il Paese, interessando anche i terreni fertili del
Veneto, del basso Piemonte e dell’Emilia-Romagna. Le statistiche rilevano che ad
oggi ben il 28% del territorio nazionale
è a rischio desertificazione
Numerosi fattori contribuiscono al problema ‒ salinizzazione, erosione
dell’acqua, urbanizzazione selvaggia, inquinamento e tecniche agricole non
sempre adeguate‒, mentre la crisi climatica tende ad accelerare questi tempi.
La
desertificazione è legata alla quantità di sostanza organica contenuta nel
terreno. Nei Paesi del Mediterraneo il contenuto medio di sostanza
organica si aggira intorno all’1,5%. Si stima che in Italia oltre l’85% della
superficie totale dei suoli sia caratterizzata da valori di carbonio organico
inferiori al 2%: limite di poco superiore alla soglia di rischio
“desertificazione”.
Una
cosa è certa: al di là delle strategie pubbliche per ridurre il consumo di
acqua e salvaguardare l’integrità del suolo, sarà fondamentale cambiare il
nostro modo di vivere e alimentarci, in quanto la siccità e la desertificazione
non incidono solo sul rischio, ad esempio, di gravi incendi, ma anche sul
nostro accesso a risorse essenziali come acqua e cibo.
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