Agromafie in Emilia Romagna, un incontro a Piacenza (Università Cattolica) sul riciclaggio nelle campagne
Per gentile concessione di www.newsageagro.com
PIACENZA - Le mani lorde di sangue delle mafie si allungano sull’agroalimentare. E anche il Nord, dove tante sono le eccellenze del settore primario, è a rischio. Di come contrastare questo fenomeno che solo in Italia vale 14 miliardi di euro se ne è parlato il 4 marzo, all’Università Cattolica di Piacenza, in un incontro dal titolo “Criminalità organizzata e produzione agroalimentare: quale risposta da Stato e società civile?”. Una risposta complessa, secondo i relatori, anche perché al Nord non ci rende ben conto di che cosa sia il fenomeno mafioso e delle modalità con cui agisce. E il Nord deve servirsi delle migliori esperienze fatte al Sud. Di sicuro c’è che l’agroalimentare fa gola e scatena i violenti appetiti della criminalità organizzata.
Di eccezione gli ospiti, tra cui il prete calabrese antimafia don Pino De Masi (Libera Calabria) e il comandante del Nac (Nucleo antifrodi di Parma, che ha competenza sul Nord Italia), il capitano dei carabinieri Marco Uguzzoni. A volere questo incontro sono stati gli studenti, ha sottolineato Antonio Chizzoniti, docente del dipartimento di Scienze giuridiche della Cattolica. L’università ha schierato per questo evento la Facoltà di Economia e giurisprudenza, quella di Scienze agrarie e Agrisystem.
MAFIA IN EMILIA Ad aprire i lavori sono stati due rappresentanti degli studenti, due ragazzi del Sud – Giuseppe Lamastra e Flavia De Marco – che hanno snocciolato dati molto crudi, presi dalle relazioni della Dia. «In Emilia Romagna – ha affermato Lamastra – ci sono 18 inchieste della Dda di Bologna contro la ‘ndrangheta. Come quelle aperte a Catanzaro. In Emilia Romagna ci sono 36 clan calabresi, 21 campani e quattro siciliani. L’agroalimentare attira perché è un settore che cresce (+22% in un anno) e i proventi illeciti possono venire riciclati in questo settore». Lo studente, poi, ha letto alcuni dati su Piacenza e Parma: in queste due province ci sono stati 12 sequestri di beni. A Piacenza, 5 sono avvenuti a Cortemaggiore e uno in città». Senza dimenticare che Piacenza, secondo la Dda emiliana, è la prima città per infiltrazioni della feroce ‘ndrangheta. Il dibattito è stato moderato dal direttore di Libertà, Gaetano Rizzuto e dal caporedattore di Avvenire, Antonio Maria Mira.
LA CULTURA DEL CLAN «La strategia criminale si basa su una pedagogia criminale fondata sulla violenza, sul mettere in ginocchio gli altri» ha affermato don Pino affermando che si può stabilire un filo rosso tra l’uccisione di un bimbo di tre anni e le agromafie. «Non c’è differenza tra l’uccidere una persona o l’ambiente». Poi ha citato due esempi. Al processo contro il clan Mammoliti, il boss portava sempre in aula la moglie e il figlio di sette anni, affinché il piccolo imparasse come comportarsi. «Una volta andai a casa di due bambini, il cui papà era stato ucciso. Li volevo portare via in una struttura protetta. Arrivò la nonna. Mise i bambini davanti alle foto dei parenti ammazzati, estrasse una pistola dal seno e disse: ricordatevi che sono morti per voi. Si insegnava un modus vivendi, una cultura di “non valori”». Don Pino, con tanti volontari coraggiosi, ha avviato la prima cooperativa agricola sui terreni confiscati alla ‘ndrangheta, la coop Valle del Marro che si è costituita parte civile contro il clan Mammoliti che ha tagliato 500 alberi. «Vengo dalla Calabria – ha continuato don Pino - dove diamo un modesto contributo. La coop produce biologico e dà lavoro vero e non nero. Nei nostri territori purtroppo la ‘ndrangheta, anche esèandendosi in Europa, con la violenza e la mistificazione dei prodotti si è arricchita. Il Nord può evitare alcuni pericoli se si serve di alcune cose, positive e negative, realizzate al Sud. Una volta tanto siamo arrivati prima».
IL CONTRASTO Ai 60 miliardi dei prodotti alimentari contraffatti, si aggiungono i 14 delle cosiddette agromafie. E il Nord, con alcune regioni piene di eccellenze e capofila della produzione e del Made in Italy nel mondo, è a rischio. «L’esperienza personale e le notizie pubblicate dalla stampa non fanno escludere questa possibilità» ha affermato Uguzzoni. Secondo il capitano dei carabinieri, «con i dati di cui disponiamo, il settore agroalimentare, con livelli economici molto interessanti, può essere toccato da questo fenomeno. Il crimine si interessa di affari economici e qualsiasi tipo di attività illecita può generare benefici». La lotta alle frodi «in senso generale si divide in due livelli. Il primo riguarda la contraffazione, il secondo il crimine organizzato. La nostra tutela è a 360 gradi e i sensori sono tutti allertati. Inoltre, il nuovo codice antimafia fornisce molti strumenti di contrasto».
L’UNIVERSITA’ E LE MAFIE Chizzoniti usa subito le armi della conoscenza e dei valori: «Proviamo a trasmettere saperi e impronta educativa. L’apprendimento non va slegato dalla presenza dei ragazzi nella società civile. Incontri come questi sono importanti, perché si diffondono le conoscenze e l’idea originaria di padre Gemelli: formare persone». Secondo il docente di Giurisprudenza «il Nord è già a rischio. Basti pensare a questioni toccate non solo dalla produzione alimentare, ma anche dall’economia e dal riciclaggio. Il business si fa anche in agricoltura, ma anche non facendo attenzione a tante regole». Come ipotesi di soluzione, Chizzoniti indica la sinergia tra società, studenti, forze dell’ordine, università: «La strada va puntellata rafforzando i valori. Per passare alla legalità praticata, bisogna sempre ricordare che i valori non vanno dimenticati né messi da parte».
Il preside di Scienze agrarie, alimentari e ambientali, Lorenzo Morelli, sostiene che «il tema è di attualità. La richiesta arriva direttamente dagli studenti. Ci ha fatto piacere, perché vuol dire che abbiamo seminato bene e i ragazzi si pongono problemi etici. D’altra parte, il tema non poteva non essere prioritario. Positivo anche il fatto che le facoltà insieme hanno organizzato il seminario». Una possibile difesa sta nel «creare una classe dirigente che ha coscienza di questi problemi. Quando affronterà problemi di questo tipo saprà agire in maniera eticamente corretta. Il Nord è a rischio? Come lo è tutta l’Italia dalle infiltrazioni mafiose a tutti i livelli».
Gianfranco Salvatori
0 commenti